venerdì 21 novembre 2008

Storia


Le caserme di Visco
18.11.2008

Visco, la storia taciuta

di Ferruccio Tassin

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Il 6 aprile 1941 le potenze dell’Asse invadono la Jugoslavia: incomincia la vicenda dei campi di internamento. L’ordine di allestire quello di Visco giunse nel dicembre ’42. L’esistenza di 17-18 padiglioni in muratura facilitò l’operazione.

I lavori procedevano a rilento e il generale Umberto Giglio si portò sul posto il 17 gennaio ’43 e descrisse i lavori fatti eseguire: “… ho provveduto a trasformare 9 dei 17 o 18 padiglioni in muratura ad uso ospedale e infermeria collegandoli fra loro con piccoli fabbricati e dotandoli di gabinetti e lavatoi moderni (capacità oltre 400 posti letto) e a sistemare, nei rimanenti 8 o 9 padiglioni, il campo di bonifica modernissimo e completo, parte delle cucine per gli internati, gli alloggi e la mensa per gli ufficiali italiani e gli uffici; a ultimare e a costruire ex novo in muratura padiglioni per visita medica, con gabinetti dentistico e batteriologico, d’isolamento per malati infettivi e contagiosi…a costruire grandi baracche in legno con pavimentazione in cemento ad uso cucine, latrine e lavatoi per internati…a montare n. 325 baracche tipo “ Russia”, n. 7 baracche tipo “Milano” n. 22 grandi tende normalizzate a doppia parete e con pavimentazione in legno… a far trasportare al campo, con automezzi e carri ippotrainati, dalla stazione di Palmanova e dai magazzini genio d’intendenza di Villa Vicentina e di Udine, quantità favolose di materiali di ogni genere e specie”.

“Tutti i lavori, malgrado le poche ore lavorative dovute alle intemperie della stagione e alle giornate corte, vennero effettuati in modo quasi completo, in circa un mese, tanto che, il 20 febbraio 1943 il campo venne occupato dai primi mille internati che trovarono in esso ogni possibile conforto. I lavori compiuti, per la loro enorme mole e perché eseguiti con organizzazione perfetta e razionalmente, destarono l’ammirazione delle autorità superiori che definirono “miracolosa” la costruzione di quel campo…”.

Sembra si parli di altro, piuttosto che di un luogo in cui l’umanità veniva violata. Nel giugno del ’43 si stabiliva in 8.500 internati la capacità del campo.
Il gen. Giglio, in una lettera di poco precedente, aveva dato precise disposizioni sia per gli internati che per i militari del campo, i quali dovevano essere formati espressamente per essere capaci di rispondere nelle condizioni più critiche come evasioni, rivolte, lancio di paracadutisti.

Alcuni consigli e tra essi uno che si riferisce alle vittime più innocenti di simili soprusi:
“… riunire i bambini durante varie ore del giorno in apposito recinto (proprio ‘recinto’, n.d.A.) e locale per essere intrattenuti in giochi ed istruzioni in relazione alla loro età. Qualora vi sia la possibilità di maestre fidate o possibilità di controllarle possono essere organizzate anche scuola per i ragazzi più grandi”.

Degli internati nel campo di Visco, 25 non fecero più ritorno; 22 si spensero nel campo, 3 all’ospedale di Palmanova. I certificati di morte accennano in qualche caso a gravi stati di deperimento organico; probabilmente erano persone che arrivavano da Arbe, dove le morti per fame furono numerosissime (dalle 1000 alle 1.500 ).

Per fortuna, qui, non morirono bambini. Ciò fu dovuto anche al gruppo dei medici del campo, alcuni dei quali curarono allora senza compenso molti dei nostri paesani.

Si deve accennare, almeno a una lettera del capitano medico pediatra dott. Giuseppe Castelbarco Albani, che, scrivendo a mons. Mirko Brumat, del comitato per il soccorso agli internati sloveni, segnalava tra l’altro: “… mancano farine alimentari per bambini e sovratutto Mellin per divezzamento e per correggere nei lattanti artificialmente ai primi mesi. Non abbiamo nessuna dotazione, ed il sottoscritto stesso à provveduto personalmente ad acquistare qualche flacone di Mellin facendo piccola opera di beneficenza … le anime buone del Goriziano, le mamme sopratutte potranno più di me, pensando ai loro bambini, comprendere quanto bene si può fare in tanto dure contingenze per le piccole innocenti creature altrui”.

Perché fece questo il conte Castelbarco Albani? Si potrebbero mettergli in bocca molteplici risposte, ma nessuna di certo più adatta di quella che diede Giorgio Perlasca, l’imprenditore padovano che salvò migliaia di Ebrei a Budapest: “Perché ero un uomo”.


Fonte:ilreporter.com

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